Ovidio (43 a.C.-17/18 d.C.) ebbe un’influenza ampia e continua sia sulla letteratura sia nelle arti figurative e nella musica occidentali. Non esiste molto probabilmente alcun poeta classico, greco o latino, compresi Omero e Virgilio, che abbia esercitato un’influenza ampia e continua come Ovidio. La sua opera (giunta a noi quasi integralmente) non è andata esente da critiche e la sua fama, in età moderna, ha subìto  un ridimensionamento rispetto ai culmini raggiunti nell’antichità e nel Basso Medioevo fino all’epoca barocca. Innumerevoli sono le citazioni, le riprese, le imitazioni e le variazioni di cui Ovidio è stato la fonte ispiratrice nei più diversi ambiti.


Le sue opere ebbero sull’arte e sulla musica occidentali perfino più influenza di Omero o Virgilio

Ovidio appare ora come poeta elegiaco, maestro di raffinata retorica unita ad una sottile e smaliziata psicologia amorosa. , Negli Amori e l’Arte amatoria, sue opere giovanili, spingendosi oltre i suoi predecessori Tibullo e Properzio, l’eros diviene un libertino gioco galante e piacere fisico, che non a nulla a che vedere col sentimento e men che meno con la morale, a cui fanno eco il Don Giovanni di Mozart e Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos.

Al poeta piacciono tutte le belle donne dell’intera Roma e non distingue tra matrone, schiave e liberte. Ne riesce finanche ad amare due contemporaneamente e se la morte dovesse cogliere l’individuo nell’atto estremo della situazione amorosa, questa, per il nostro, non sarebbe morte più bella.

Ovidio teorizza che il lecito piace meno del proibito, che l’abitudine e la sazietà generano la noia, che l’amore richiede anche la sofferenza, perché la ripulsa, la simulazione o il tradimento della donna acuiscono il desiderio.

Da ciò nasce la fama di poeta leggero e mondano,  scandaloso e immorale, tanto che Augusto, nell’ 8 d.C. gli infligge un duro e irrevocabile esilio sul Mar Nero.

Convincente è la congettura, riportata dalla Ghedini, che vede, nell’elogio di Elena di Troia nell’Arte amatoria, un’approvazione e una difesa della libertà sessuale dell’unica figlia di Augusto, Giulia Maggiore, che il padre stesso aveva bandito nel corso della sua politica di moralizzazione della società romana: tanto provocatorio ardimento da parte di Ovidio non poteva restare impunito.


Se tutti questi aspetti del profilo di Ovidio corrispondono al vero, non bisogna tuttavia ignorare né il realismo della sua descrizione della fisiologia dell’amore né la sua sincera confessione della contraddittorietà del proprio comportamento, dato che egli rifugge da ciò che lo insegue e insegue ciò che lo fugge, odia le proprie colpe e nello stesso tempo brama l’oggetto del proprio odio, tanto che nei Rimedi all’amore arriverà a indicare le vie e i mezzi per liberarsi dalla servitù della stessa passione che aveva celebrato: sta qui un elemento della serietà e anche dell’universalità della sua esperienza. Negli Amori e nell’Arte amatoria interviene costantemente, anche se per lo più a titolo di exemplum, il mito. 

Conoscenza e ispirazione mitologica di Ovidio confluiscono infine nell’opera maggiore, le Metamorfosi, poema nuovo e singolare sotto il profilo del contenuto come della tecnica e dello stile, incentrato sul tema dell’incessante mutamento delle forme nel mondo. Attraverso 15 libri in esametri Ovidio raccoglie, collega e narra per la prima e unica volta nella storia letteraria (solo Marino, nel Seicento, tenterà con l’Adone un’impresa analoga) tutti i bellissimi miti del patrimonio greco-romano, dal caos primordiale fino alla glorificazione di Giulio Cesare, creando una sorta di Bibbia pagana di millenaria vitalità.

M. A. RIGONI, La Lettura 11 Nov 2018
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