Da pochi giorni si è aperta una mostra dedicata al bimillenario di Ovidio, la cui morte è avvenuta in esilio l’anno 18 dopo Cristo. La mostra, allestita fino al 20 gennaio presso le Scuderie del Quirinale di Roma, ha per titolo “Ovidio. Amori, miti e altre storie“; la curatrice è Francesca Ghedini e il tema a cui si ispira è rappresentato dall’opera del grande poeta.

Attraverso Duecento opere la mostra prova a raccontare l’universalità di un mondo e di un pensiero, fatto di amore, rapimento, abbandono, piacere, vendetta, odio: passioni umane di un mondo divino.

Già il luogo della sede espositiva introduce alla mostra. Infatti, al centro della piazza del Quirinale, troviamo le statue di Castore e Polluce, i Dioscuri e la memoria va a Leda che infiammò d’amore il cuore di Giove. Il re degli dei in Ovidio non è tanto il signore dei cieli, al contrario di divino ha ben poco ma molto di umano, si mostra infatti un amante insaziabile e libertino, al pari di un Casanova, capace di tramare qualsiasi espediente pur di possedere l’oggetto dei suoi desideri, fanciulle o efebi non fa differenza.

Giove per possedere Leda si trasformerà in cigno, la quale dopo il primo connubio giacerà anche con il legittimo consorte. Dal duplice amplesso nasceranno Castore e Polluce. Questo mito rivive anche all’interno del percorso espositivo in una copia cinquecentesca di un quadro di Leonardo, che fa parte di un percorso che racconta attraverso le immagini (quadri, affreschi, sculture, vasi, gemme, rilievi e codici miniati) archetipi umani che affondano le proprie radici in secoli lontani e attraverso le varie epoche sono giunti fino all’immaginario moderno.

La mostra è infatti un viaggio nell’universalità di una delle principali fonti del pensiero e dell’arte occidentale. Universalità di cui il primo a esser convinto fu Ovidio stesso:

Ho ormai compiuto un’opera che non potranno cancellare né l’ira di Giove, né il fuoco, né il ferro, né il tempo divoratore… e il mio nome resterà: indelebile

Ma più che con l’ira di Giove il Nostro doveva fare i conti con quella dell’imperatore Augusto, impegnato in una campagna di moralizzazione dei costumi. Le metamorfosi  dopotutto erano lo specchio della Roma contemporanea ed è per questo che Ovidio non poté evitare di entrare in contrasto con lo stesso Augusto, che gli sarà cagione di quell’esilio, a Tomi, sulle rive del Mar Nero, da cui il poeta non farà più ritorno. Lì, 
il maestro dell’Ars amatoria, solo e disperato  vivrà gli ultimi anni implorando vanamente un perdono.


Duemila anni fa la morte dell’autore delle «Metamorfosi» spedito sul Mar Nero da Augusto, che mai ascoltò le sue implorazioni di perdono. Secoli di sculture, dipinti e miti alle Scuderie del Quirinale


La monumentale statua in marmo di Augusto si impone nella veste di Pontefice Massimo, con il capo velato, così come è giunta dal Museo di Aquileia ed esposta in contrasto con le tante sensuali figure che animano i versi del poeta, a partire da quelli delle celeberrime Metamorfosi. Storie di dèi, eroi, giovinetti e ninfe che giungono attraverso la memoria degli uomini e le sue manifestazioni artistiche. Grazie poi anche all’opera incessante dei monaci amanuensi medievali, che chiusi nei loro scriptoria, trascrissero anche i versi più audaci salvandoli dall’oblio.

Tra le più celebri Metamorfosi, ricordiamo quella di Ermafrodito la cui natura, maschile e femminile, evocata dalla sensualissima statua (II secolo dopo Cristo, da un originale ellenistico) proveniente da Palazzo Massimo Museo nazionale romano, oltre che da quadri di Sisto Badalocchio, Francesco Albani e Carlo Saraceni e opere di
Benvenuto Cellini, Tintoretto, Poussin o Pompeo Batoni.

La scelta di riparlare di Ovidio a duemila anni dalla sua scomparsa — spiega la curatrice — è stata dettata dal desiderio di comunicare frammenti di questo grande che ha segnato la cultura europea. L’auspicio è che ciascuno possa provare un’emozione, trovare uno spunto

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