Rispetto alla grande produzione culturale dell’antica Grecia, riguardo la sua letteratura ci è giunta solamente una minima parte. Molto è andato perduto nei meandri della storia.

Della lirica ci è rimasta un’esigua testimonianza, soprattutto a causa del pregiudizio insinuato da Aristotele che la considerava una forma poetica deteriorata, vuoi forse per la completa scomparsa della musica a cui essa era indissolubilmente legata, vuoi per il fatto che allorquando la si poneva al confronto con la produzione epica del ciclo omerico , non sembrava reggere l’incarnazione dell’epos greco.

Per quanto riguarda la tragedia, dei suoi più famosi esponenti possediamo una scelta limitata di drammi che erano poi quelli più rappresentati e più letti e che hanno oscurato e relegato all’oblio la coeva produzione drammatica.

Non da meno poi il preconcetto classicistico e la moda atticista hanno prodotto la scomparsa quasi totale della produzione poetica alessandrina. Le ricerche erudite dei cosiddetti “filologi alessandrini”, che aspiravano alla formulazione dei gévnē, ossia dei «generi letterari», e alla fissazione in «canoni» degli autori più rappresentativi, hanno provocato inconsapevolmente l’oblio di quegli autori ritenuti sorpassati dalle mode del tempo.

Oltre alla selezione umana, molte opere furono esposte al deterioramento e ai danni materiali del tempo, in circostanze varie, mentre sembrerebbe ininfluente l’opera del Cristianesimo sulla mancata conservazione di una parte della letteratura greca profana.

Molte e dolorose perdite vanno poi attribuite al tentativo di autoconservazione, che la civiltà greca intraprese con l’avvento dell’età romana. Ciò determinò una predilezione dell’indagine lessicografica al fine di stabilire il canone linguistico puro per contrapporlo alla consuetudine ellenistica e volgare che sfociò in quel medioevo orientale che dal suo centro in Bisanzio prese il nome di periodo bizantino, e che si suole far iniziare nell’anno 529, quando Giustiniano ordinò la chiusura della scuola filosofica di Atene.

Lo stesso mondo antico è il primo responsabile della perdita di gran parte del proprio patrimonio letterario. Tale processo di depauperamento iniziò quasi contemporaneamente al sorgere della civiltà della scrittura, e a volte subì improvvise e devastanti accelerazioni, come quella che G. Pascucci individua nella civiltà bizantina, da lui definita senza mezzi termini «medioevo orientale». Pratica deleteria di quel periodo fu la tendenza alla compilazione di antologie, crestomazie, florilegi, che per la loro maggiore agilità rispetto ai testi originali finirono col sostituirsi a essi nell’uso comune, provocandone l’irreversibile scomparsa.

Due secoli dopo l’ascesa di Giustiniano troviamo l’Impero d’Oriente impegnato ad arginare l’inesorabile avanzata dell’Islam verso Occidente. Cadono importanti province periferiche, come Siria ed Egitto, un tempo sede della cultura ellenistica: i tesori del patrimonio classico che vi erano raccolti furono per buona parte tratti in salvo a Bisanzio e, nel complesso, ebbero un destino privilegiato rispetto a quelli di tradizione latina in Occidente, incessantemente costretti a ritrarsi verso regioni sempre più marginali sotto la spinta di Germani e di Arabi, e ad evacuare per prima la sede, in cui s’erano originariamente diffusi, l’Italia, per rifugiarsi in Spagna e poi in Francia, finalmente in Irlanda, risparmiata dalle invasioni barbariche.

Terminata la controversia iconoclastica (711-843) l’impero vive una nuova rinascita. Grazie al patriarca di Costantinopoli Fozio (dall’858 all’867 e dall’879 all’886), nell’863 fu riaperta l’Università con varie discipline, fra le quali anche la filologia, ma con i soliti interessi lessicografici.

Dall’analisi dei testi letterari derivano la Bibliotheca ed il Lexicon: rassegna, l’una, di centinaia di opere classiche senza un ordine razionale, in 280 capitoli, brevi cenni o larghi riassunti con notizie biografiche e pinacografiche, importanti specialmente per certi storici parzialmente perduti, come Teopompo ed Eforo, compilazione, l’altra, della migliore glossografia imperiale.

Di Fozio ricordiamo la sua opera per la conservazione dei testi classici e possiamo facilmente affermare che i testi ancora presenti al tempo di Fozio, furono tramandati fino a noi.

Un discorso a parte va fatto per i testi più antichi, che già allora si erano perduti. Questi ci sono pervenuti esclusivamente per la via dei papiri che si sono conservati in Egitto, grazie al clima particolarmente secco.

La maggior parte dei manoscritti dei classici greci proviene dall’attività di Fozio e dei suoi prosecutori, che mettendo a profitto i tesori dell’antica letteratura trasferiti da Alessandria a Bisanzio, ne curarono la trascrizione su di un nuovo materiale scrittorio divenuto, d’ora innanzi, di uso comune, dal papiro sulla pergamena e secondo una nuova scrittura, la cosiddetta minuscola, escogitata per risparmiare più spazio che tempo, ma accuratissima nell’obbligatoria registrazione persino dei segni diacritici: apostrofi, spiriti, accenti.


Per approfondire

G. Pascucci, I fondamenti della filologia classica, Firenze, 1962.

, , , ,