Da sempre ci si chiede se quando parliamo di gnosticismo siamo nell’ambito di un’eresia cristiana o di un fenomeno precristiano?
Partendo dall’interpretazione di due grandi studiosi e cioè di Jonas e Bultmann, cerchesremo di inquadrare il problema e di determinare lo status quaestionis.
Jonas studiò a Marburg assieme a Bultmann, quando la cattedra era occupata da Heidegger: l’esistenzialismo divenne così la chiave di lettura sia per lo studio della gnosi che per quello del NT. Studiando la gnosi, a Jonas sembrò che questa fosse una mitizzazione dello stesso problema esistenziale dell’uomo sollevato da Heidegger e, operando allora una smitizzazione dello gnosticismo, pretese di trovarvi la filosofia esistenziale, intelligibile all’uomo moderno[1].
Sulla base di queste considerazioni, interpretò lo gnosticismo come un fenomeno precristiano che avrebbe prestato un linguaggio mitologico al cristianesimo nascente (da notare che per questi autori è mito ogni ingerenza dell’aldilà nel mondo presente; tutta la fides quae è mito: non si ammettono né rivelazione, né sacramenti, né incarnazione, né risurrezione; l’unico atto di grazia soprannaturale è la fides qua). Bultmann, partendo dalle stesse premesse,applicò la stessa analisi al NT, riducendolo ad una mitizzazione del problema esistenziale dell’uomo, in cui cercare un’antropologia esistenziale basata sull’atto di fede.
Bultmann e la sua scuola vedono un influsso dello gnosticismo sulla nascente dottrina cristiana, in particolare sulla cristologia e ipotizzano l’esistenza di uno gnosticismo giudaico e di uno gnosticismo pagano, che avrebbero segnato pesantemente la nascita del cristianesimo. A riprova di questa sua tesi egli porta il fatto che la cristologia ha avuto inizio come cristologia “bassa” (cioè prendendo in considerazione l’uomo Gesù di Nazareth), e solo successivamente si è sviluppata come cristologia “alta” (comprendente, cioè, la riflessione sul Cristo preesistente, umiliatosi nella carne ed esaltato dopo la risurrezione). Secondo Bultmann, questo sviluppo è stato determinato dall’influsso del mito del “redentore redento” (un essere celeste che scende per illuminare gli uomini ed insieme a loro torna in cielo). Conseguentemente, anche la concezione del Cristo preesistente doveva essere demitologizzata, in quanto non appartenente all’essenza della fede cristiana. La cosa suscitò vivaci discussioni soprattutto in ambito protestante (anni 40-60). Da notare che dopo l’esistenzialismo anche altre filosofie cominciarono ad interessarsi del cristianesimo al fine di interpretarlo secondo i propri schemi (il marxismo, che influenzò la teologia della liberazione, la filosofia analitica del Wittgenstein, lo strutturalismo…).
Di tutti i testi gnostici pervenutici non ve n’è uno solo che sia anteriore al II sec. d.C. e, conseguentemente, non ci sono prove che attestino l’anteriorità dello gnosticismo sul NT. Lo svedese C. Colpe ha dimostrato che il mito del “redentore redento” non sarebbe gnostico, ma il frutto di un’errata lettura dei testi compiuta da Bultmann. S. Pétrement[2], B. Aland e M. Simonetti[3] recentemente sostengono che lo gnosticismo sarebbe un’eresia cristiana, portando argomenti contro l’interpretazione del Bultmann. A margine del dibattito del 1966 vi fu una precisazione terminologica, per iniziativa di U. Bianchi dell’Università di Messina: si propose di distinguere lo gnosticismo vero e proprio (quelle sette organizzate con culto e letteratura propri, nate dopo il I sec.) dalla gnosis (le manifestazioni pregnostiche del I sec. non ancora organizzate in sistema). La proposta non ha avuto fortuna soprattutto nell’area tedesca.
Sull’origine[4] dello gnosticismo si sono avute molte ipotesi e l’opinio communis sostiene l’origine precristiana. Il mito del “Redentore redento” è giudicato tipicamente iranico: l’uomo primordiale è precipitato e le sue parti sono state imprigionate nella materia; il rivelatore allora è sceso nel mondo a ricordare all’uomo la sua natura e ad aprirgli la strada (questo mito è così delineato soltanto nel manicheismo del sec. III). Jonas interpretò lo gnosticismo come reazione all’ottimismo cosmico greco attraverso l’anticosmismo. Però in quest’ottica – che poi egli stesso mitigò – ogni sistema dualistico potrebbe essere visto come forma di gnosticismo. Qualche autore vuole trovare influssi di componenti ermetiche nel sincretismo, nel dualismo e nella tendenza astrologica. Infine qualcuno ipotizza derivazioni mandee: si noti che i documenti in nostro possesso sono tardivi e attestano una religiosità piena di istanze variegate (perfino musulmane…).
A conforto dell’opinio communis starebbe la scoperta di testi non cristiani tra i codici di Nag Hammadi: per esempio si nota lo sviluppo cristianizzante dalla Lettera di Eugnosto alla Sofia di Gesù Cristo; oppure si noti come nella Parafrasi di Shem il redentore è chiamato Derdekeas (un hapax nella letteratura gnostica). Eppure il Simonetti sostiene che anche in queste opere ci sono elementi cristiani («Figlio dell’uomo», «Salvatore»…) per cui preferisce parlare addirittura di una gnosi decristianizzatasi in seguito alla condanna ecclesiale – quindi che si tratti di testi posteriori al cristianesimo.
Altri autori sottolineano le componenti giudaiche del sistema gnostico, quali la dottrina dell’imago Dei. Sembra che la dottrina dell’archetipo umano fosse un luogo comune nelle speculazione rabbiniche dell’epoca. Qualcuno vi ha visto anche una reazione di gruppi interni del giudaismo delusi di un Dio che nella guerra giudaica non seppe difendere il suo popolo. L’ipotesi è difficile da sostenere se si valuta la negatività di cui è investito Jhwh: forse si spiega con uno sviluppo ai margini del giudaismo ufficiale (in Samaria?).
Tuttavia gli antichi eresiologi cristiani considerarono gli gnostici eretici del cristianesimo e in ambiente pagano Celso[5] considera come cristiani anche gli gnostici; Porfirio, nello stesso senso, parla del trattato di Plotino contro gli gnostici come di un testo indirizzato contro i cristiani (tra l’altro ci informa che gli gnostici citavano autori pagani, che ritroviamo in quei testi di Nag Hammadi che la critica considera non cristiani). Simonetti formula allora un’ipotesi che, anziché muovere da una gnosi precristiana poi entrata nel cristianesimo, pensa ad una corrente etno-cristiana che si sarebbe inserita in un’incipiente riflessione gnostica, potenziandola in senso cristiano. Propriamente Simonetti parte dal confronto col marcionismo dove si distingue il Dio sommo dal demiurgo (benché nel marcionismo manchino il concetto di una frattura e la consustanzialità dell’uomo col Pleroma). Il marcionismo è un paolinismo radicale mirato contro il giudaismo e si spiega in un ambiente etno-cristiano ostile a tutto il giudaismo. Il concetto di frattura, dell’androgino e della decadenza di alcune particelle è un mito tipicamente greco (orfismo). La tradizione giudeo-cristiana non offriva queste idee. Con una certa cautela possiamo far partire lo gnosticismo dalla figura di Simon Mago in Samaria. Da quanto sappiamo, nel suo sistema mancano le componenti giudaiche, ovvero la distinzione dei due Dei e il personaggio femminile ha il nome greco di Ennoia-Elena e non quello veterotestamentario di Sofia: quindi la concezione androgina della divinità, di cui sarebbe decaduta la parte femminile, ha origine completamente pagana, probabilmente in Samaria. Tale concetto sarebbe poi passato in Siria dove alcuni cristiani di origine pagana se ne sarebbero appropriati in senso radicalmente antigiudaico. Qui infatti gli antichi eresiologi situano Satornilo, autore del primo sistema gnostico nettamente delineato.
[1] Da notare che questo modo di procedere è ben diverso dal razionalismo dell’800: il soprannaturale non viene eliminato, ma reinterpretato in chiave esistenziale.
[2] Simonetti M., Alcune riflessioni sul rapporto tra gnosticismo e cristianesimo, in VetChr 28 (1991) 337-374.Idem, Testi gnostici…, cit. p. xxvii. Cfr Moreschini C. – Norelli E., Letteratura cristiana…, cit., p. 256.
[3] Pétrement S., Le Dieu separé. Les origines du gnosticisme, Paris 1984.
[4] In Origene, Contra Celsum VI,25.27-30.34.
[5] Per questa parte attingo a: Simonetti M., Testi gnostici in lingua greca e latina, Fond. L. Valla – Mondadori, Milano 1993, p. xi-xxxi. Cfr Moreschini C. – Norelli E., Storia della letteratura cristiana… cit., pp. 252-261.