Il Vangelodi Tommaso fu scoperto nella biblioteca gnostica di Nag-Hammadi nel 1945 anche se prima di allora se ne conoscevano frammenti presenti in san Girolamo e nei papiri di Ossirinco, nonché in Origene ed Eusebio che ne avevano parlato sottolineandone l’uso presso gnostici e manichei. Lo scritto, tradotto in lingua copta da un originale greco, raccoglie 114 detti del Signore suddivisi in  generi letterari come Apoftegmata,Logia, Detti profetici ed apocalittici, Regole e Precetti comunitari. Molto del materiale presente nell’opera lo si ritrova anche nei Sinottici, anche se non manca di informazioni del tutto nuove. Sebbene il manoscritto risale al IV secolo è ormai opinione comune che l’originale debba risalire alla prima metà del II secolo, contemporaneo dei primi documenti cristiani e non lontano dalle date di composizione dei Vangeli canonici.

Nel prezioso scritto interessante è vedere come Gesù stesso si definisce in alcuni Logia.

Nel n° 84 afferma: «Io sono la luce: quella che sta sopra ogni cosa; io sono il Tutto: il Tutto è uscito da me ed il Tutto è ritornato in me»: abbiamo qui un’autodefinizione nella quale Gesù associa la propria persona al concetto di luminosità che irradia in ogni direzione senza che la potenza della fonte si esaurisca. Degno di attenzione è la relazione del linguaggio usato con quello presente nella lettera ai Colossesi 1,13 in cui si dice che il Padre «ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferito nel regno del suo figlio diletto». Tale relazione si intravede nel rapporto luce-tenebre e ciò fa anche presupporre un ricorso diffuso e usuale a tale binomio, proprio dell’immaginario comune dell’epoca.

Nel Logia n° 48 alla domanda dei discepoli: «Chi sei tu che dici queste cose?» egli risponde «Da ciò che vi dico non riconoscete chi sono?. In verità siete diventati simili a Giudei: essi infatti o amano l’albero e ne detestano il frutto o amano il frutto e detestano l’albero». Nel passo Gesù, attraverso una similitudine che si avvale del simbolo dell’albero e del frutto, risponde alla domanda «Chi sei tu…?» definendo se stesso come il frutto e il Padre come l’albero.

In un altro Logia, (n° 67), alla domanda di Salomè «chi sei tu, uomo e di chi sei figlio?» Gesù risponde «Io sono colui che viene da colui che mi è uguale: quello che mi è dato è delle cose di mio Padre», mettendo in risalto il rapporto di identità tra lui e il Padre e rispondendo contemporaneamente alle due domande sulla sua identità e sulla sua figliolanza.

Nella comprensione della sua figura da parte dei discepoli Gesù è riconosciuto anche come maestro. Nel Logia 14 infatti alla domanda posta ai discepoli: «fate un confronto con me e ditemi a chi sono simile»  Tommaso risponde: «maestro, la mia bocca non è assolutamente in grado di dire a chi tu sei simile», affermazione alla quale Gesù replica «Io non sono più tuo maestro perché tu sei ebro: ti sei inebriato alla copiosa sorgente che è emanata da me». Tale dialogo mostra anche che Gesù-maestro si paragona alla sorgente a cui i suoi discepoli dovranno attingere fino a diventarne ebri e si connette al Logia 115 in cui Gesù stesso afferma: «Colui che berrà dalla mia bocca diventerà come me, nello stesso modo che io diventerò come lui, e le cose nascoste gli saranno rivelate», sottolineando di nuovo il suo ruolo di “fonte-sorgente” inesauribile. Qualunque sia la disposizione di chi si accosta alla lettura di questo testo, sia che vi voglia scorgere un ostinato senso gnostico, sia che ne affievolisca tale comprensione alla luce del Vangelo di Giovanni e delle lettere paoline, non può fare a meno di notare la particolarità del linguaggio utilizzato che sembra non aver nessun interesse a restituire alcun particolare del Gesù storico, ma attraverso l’utilizzo del simbolo, ci fa intendere come la comunità di provenienza del Vangelo, caratterizzata da un ardente fervore mistico, intuiva e comprendeva la figura di Gesù figlio di Dio.

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