Il testo più conosciuto circa la creazione accadico-babilonese è intitolato Enuma Elish, ovvero “Quando lassù” e continua: «il cielo non aveva ancora nome, e quaggiù la terra ferma non era ancora chiamata per nome». Nella sua forma così come ci è pervenuta è presumibilmente databile attorno al IX secolo a.C., ma sicuramente risale ad un originale versione composta nel regno Paleo Babilonese intorno al XIX secolo a.C.; questo poema aveva una funzione liturgica infatti veniva letto ogni anno nel quarto giorno della Festa di Capodanno. Il testo ci è giunto scritto in lingua accadica su sette tavolette d’argilla cuneiformi che appartenevano alla biblioteca del re assiro Assurbanipal a Ninive[1].
Il racconto si divide in due parti: l’inizio, in cui troviamo una breve sezione sull’origine delle potenze del cosmo, seguita poi da una sezione più lunga in cui è raccontato come l’attuale ordine del mondo sia andato man mano determinandosi.
Troviamo così descritto lo stato primordiale, prima ancora della nascita degli dèi, un ambiente in cui il tutto è ancora costituito da una massa d’acqua. L’acqua dolce sotterranea, Apsu, e l’acqua salata del mare, Tiamat non erano state ancora separate. Non esisteva nulla! Non vi era un cielo, né una terra, né un pantano; ancora non vi erano neanche gli dèi. Allora dalla mescolanza dell’acqua dolce (Apsu) con quella del mare salato (Tiamat) nacquero due divinità, Lachmu e Lachamu[2], Tiamat li partorì. Alla foce dei fiumi Tigri ed Eufrate, lì dove le acque dolci s’incontrano con quelle salate del mare, i sedimenti fluviali, nel corso dei secoli avevano accumulato così tanto limo da originare una nuova fertilissima terra le cui origini vengono proiettate all’interno del mito. Dopo lungo tempo, a questa prima coppia di divinità segue quella di An-shar e Ki-shir, rispettivamente il dio del mondo superiore e del mondo inferiore. An-shur generò Anu ed Anu Nudimmud, ovvero il dio mago Ea, definito «il principe dei suoi padri, di vasta sapienza, saggio, potente di forza, molto più forte del suo procreatore e padre, An-shar». Ora il dio Ea diventa il protagonista del racconto mitologico, analogamente al Kronos della Theogonia del poeta greco Esiodo, metterà fine al regno di Apsu. Infatti quest’ultimo, disturbato dall’irruenza dei figli più giovani che assillavano la madre Tiamat abbandonandosi al clamore e al trambusto, seguendo i perfidi consigli del suo paggio Mummu, decide di tramare contro di loro, nonostante Tiamat si opponga. Ea allora fece addormentare Apsu in un profondo sonno, poi lo legò e lo uccise. Sopra ad Apsu costruisce la sua dimora e la chiamò apsu. Così come era avvenuto per Urano nella Theogonia anche in questo caso Apsu da principio teogonico diventa una pura entità cosmica. A questo punto viene alla luce Marduk, proprio nell’apsu dove Ea aveva posto la sua dimora. Ea diede al figlio una doppia divinità, così Marduk aveva quattro occhi, quattro orecchie e dalle sue labbra divampava fuoco. Sarà proprio Marduk a contrastare l’esercito di terribili mostri messo sù da Tiamat con a capo Kingu suo sposo. La vittoria di Marduk richiede in cambio il potere su tutti gli déi. Il nuovo re uccide Tiamata, gli spacca in due la testa e con una metà fece il cielo. Dopo avere ucciso anche Kingu, con il suo sangue fece gli uomini e li pose come servitori degli dèi. Solo a questo punto Marduk inizia a costruire il mondo fissando la dimora degli dèi, il corso delle stelle, l’anno e il calendario e tutto ciò che determinerà il passaggio dal chaos ad un ordine definitivo, al Kosmos. Notiamo che in questi tipi di impianti teo-cosmogonici, in cui l’evoluzione implica un superamento per gradi attraverso atti violenti, i primi principi, ovvero le divinità primigenie, non possono essere eliminate poiché diventano la struttura portante del Cosmo[3].
[1] E. van Wolde, Racconti dell’Inizio, Brescia, 1999, p. 171.
[2] La radice l-ch-m è la stessa di limo, fango, melma.
[3] Cfr. U. Bianchi, Per la storia della teologia dei Greci: la «Teogonia» di Esiodo, art. cit., p. 12.